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Per creare una squadra talvolta basta raccogliere le foglie per terra.

Silvio Petrassi

FOUNDER & MANAGING DIRECTOR

Pubblicato il 14/01/2020

Alcuni anni fa sono stato incaricato di guidare pro-tempore, un team multidisciplinare di professionisti provenienti da varie realtà, scelti per dare avvio a un progetto sperimentale, finalizzato alla progettazione e all’erogazione di servizi avanzati per l’orientamento professionale, la formazione e il lavoro nella provincia di Roma.

Il giorno dell’inaugurazione della sede è stato di fatto il primo giorno nel quale ho potuto incontrare gran parte del team. Alcuni tra loro peraltro non si conoscevano o non avevano mai lavorato prima insieme. Ho stretto molte mani e scambiato qualche chiacchera poco prima che i rappresentanti istituzionali arrivassero per l’inaugurazione ufficiale.

Finché, come spesso accade in queste circostanze non si è manifestato un contrattempo.

L’intera area di accesso al centro servizi, un largo e suggestivo corridoio con tanto di nastro pronto per il taglio, si è riempita di foglie secche, spinte dal vento di quel pomeriggio autunnale.

Mancava poco meno di mezz’ora all’ora prestabilita per l’inaugurazione e la squadra adibita alle pulizie aveva già terminato il suo turno di lavoro. Un tappeto di foglie caratterizzava la vista dell’ingresso della struttura sia dall’esterno che dall’interno del centro.

Consapevole che qualcosa andasse fatto e non avendo comunque nulla di meglio da fare in quel momento, sono uscito fuori e ho iniziato a raccogliere le foglie da terra, una dopo l’altra con le mie mani.

Dopo qualche minuto, mi sono reso conto di non essere più solo in mezzo a tutte quelle foglie. Piano piano, molti, non tutti, sono usciti ad aiutare. Qualcuno decisamente più smart di me ha trovato scope e raccoglitori. Così, nel giro di poco, avevamo liberato il corridoio dalle foglie e ristabilito lustro ed estetica del luogo. Tutto era di nuovo pronto per l’arrivo delle autorità e della stampa e cosa più importante di tutte, quel centro che poi diventerà Porta Futuro, aveva una squadra.

Take away

Ho ripensato spesso a quell’episodio in quanto perfetta esemplificazione di tre cose nelle quali ho sempre creduto:

  1. I team si creano e si guidano stando “davanti”, in prima fila nelle fasi costituenti e di difficoltà, e stando “accanto” nelle fasi ordinarie e di costruzione;
  2. Le persone motivate e competenti hanno bisogno di strumenti, di opportunità di crescita e di condivisione, di dare un senso a quello che fanno e di ispirazione. Non di ordini né di prescrizioni tranne in casi eccezionali.
  3. Le squadre si formano intorno a valori condivisi. Chi è uscito a dare una mano, non lo ha fatto per me, non mi conosceva neanche, né per il progetto, non era neanche nato, lo ha fatto per sé stesso. Perché ha creduto fosse giusto farlo. E forse anche perché non l’ho demotivato con assurde pretese.

Ho avuto e ho la fortuna di lavorare con colleghi, collaboratori, clienti, molti di loro oggi amici e tuttora mentori, che hanno arricchito il mio percorso professionale. Persone con cui poter fare “squadra”, condividere sfide, successi e anche sconfitte. Persone per cui raccolgo e raccoglierei foglie e che sono certo le raccoglierebbero per me.

Riflettendoci, in un mondo in cui continuamente tutto cambia, almeno questo va bene proprio così.

I team si creano e si guidano stando “davanti”, in prima fila nelle fasi costituenti e di difficoltà, e stando “accanto” nelle fasi ordinarie e di costruzione

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